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DELITTI TRIBUTARI E RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI DIPENDENTE DA REATO: IL TERZO BINARIO.
M. Urban, in Riv. Il Tributo
ilTributo.it - n.63
- 2021
Delitti tributari e responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato: il terzo binario.
Di Martina Urban
Nell'ambito della repressione del fenomeno dell'evasione ha recentemente assunto una importanza cruciale l'ampliamento della responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato, di cui al D. Lgs n. 231/2001, anche in riferimento a taluni delitti tributari.
Infatti, l'art. 39, comma 2, del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modificazioni nella L. 19 dicembre 2019, n. 157, ha recentemente introdotto nel corpo del D. Lgs n. 231/2001 l'art. 25 quinquiesdecies, con cui il Legislatore ha ampliato il novero dei reati che determinano la responsabilità amministrativa degli enti, estendendolo anche ai delitti di "dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti", "dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici", "emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti", "occultamento o distruzione di documenti contabili" e "sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte".
Occorre premettere, in estrema sintesi, che la disciplina del D. Ldgs n. 231/2001 prevede che anche la persona giuridica possa essere chiamata a rispondere per i reati commessi nell'ambito dell'attività di impresa da soggetti che rivestono una posizione apicale in azienda o da soggetti ad essi sottoposti.
Tuttavia, tale responsabilità è configurabile unicamente in relazione ad uno dei reati tassativamente elencati nel suddetto testo normativo e sempreché l'illecito sia stato commesso nell'interesse o a vantaggio dell'ente.
L'attribuzione di tale responsabilità viene accertata nell'ambito del procedimento penale e comporta l'applicazione di sanzioni pecuniarie particolarmente gravose e, in presenza di danno di rilevante entità o di reiterazione, anche di sanzioni interdittive (l'interdizione dall'esercizio dell'attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e
il divieto di pubblicizzare beni o servizi), oltre alla confisca del prezzo o profitto del reato e la pubblicazione della sentenza di condanna.
Quanto alla natura giuridica di tale istituto, l'orientamento maggioritario ritiene che la condotta criminosa commessa dai vertici aziendali possa essere rimproverata all'ente sotto il profilo della "colpa da organizzazione".
Tale ricostruzione rispecchia la finalità dell'intera normativa, che è incentrata sulla prevenzione del rischio di reati attraverso procedure operative che consentano una verifica della legalità delle prassi aziendali.
In tale prospettiva, ai sensi dell'art. 6, comma 1, del D.Lgs n. 231/2001, l'ente non risponde se prova di aver predisposto un adeguato Modello di Organizzazione e Gestione (MOG) idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi, di aver affidato il compito di vigilanza ad un apposito Organismo autonomo e che i soggetti che hanno commesso il reato abbiano eluso fraudolentemente il suddetto Modello.
Ovviamente, non vi è alcun obbligo per le Società di dotarsi di un MOG, ma ciò appare senz'altro opportuno, non solo per una eventuale difesa in giudizio, ma anche per amministrare al meglio l'impresa, dato che la cattiva gestione è il fattore che spesso favorisce i comportamenti illeciti.
Tuttavia, l'adozione di un MOG non determina un'automatica esimente per la persona giuridica, dato che il Modello organizzativo deve essere specifico, attuale e dinamico, nel senso che deve essere aggiornato a seconda dei mutamenti aziendali e delle novità legislative.
Per quanto qui interessa, la novità legislativa più rilevante in materia riguarda l'inserimento di taluni delitti tributari nell'elenco tassativo del reati da cui discende la responsabilità amministrativa degli enti.
In particolare, l'art. 25 quinquiesdecies del D.Lgs n. 231/2001 dispone che: "In relazione alla commissione dei delitti previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall'articolo 2, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
b) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 2, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
c) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, previsto dall'articolo 3, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
d) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 8, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
e) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 8, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
f) per il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, previsto dall'articolo 10, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
g) per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, previsto dall'articolo 11, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.
2. Se, in seguito alla commissione dei delitti indicati al comma 1, l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo.
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e)".
Tale disposizione è stata introdotta in esecuzione della Direttiva UE 2017/1931 (c.d. Direttiva PIF), la quale ha la finalità di indurre gli Stati membri a dotarsi di adeguate misure sul piano del diritto penale per fare fronte al fenomeno delle gravi frodi IVA che danneggiano gli interessi finanziari dell'Unione Europea.
Tra le misure di diritto penale da adottare, la Direttiva ha espressamente previsto la responsabilità delle persone giuridiche, in ordine alle fattispecie criminose fraudolente e transnazionali che possano determinare una grave frode IVA.
A tal fine, la Direttiva precisa che "la nozione di reati gravi contro il sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto («IVA») istituito dalla direttiva 2006/112/CE del Consiglio fa riferimento alle forme più gravi di frode dell'IVA, in particolare la frode carosello, la frode dell'IVA dell'operatore inadempiente e la frode dell'IVA commessa nell'ambito di un'organizzazione criminale, che creano serie minacce per il sistema comune dell'IVA e, di conseguenza, per il bilancio dell'Unione. I reati contro il sistema comune dell'IVA dovrebbero essere considerati gravi qualora siano connessi al territorio di due o più Stati membri, derivino da un sistema fraudolento per cui tali reati sono commessi in maniera strutturata allo scopo di ottenere indebiti vantaggi dal sistema comune dell'IVA e il danno complessivo causato dai reati sia almeno pari a 10 000 000 EURO."
In esecuzione di tali disposizioni, il Legislatore italiano ha quindi ampliato la responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato ai delitti tributari di natura fraudolenta, introducendo tuttavia regole più severe e restrittive rispetto a quelle imposte dalla Direttiva in questione.
Infatti, la disciplina interna è innanzitutto applicabile non solo alle società, ma nei confronti di tutti gli enti sottoposti alla disciplina di cui al D. Lgs. n. 231/2001 (compresi quindi associazioni e fondazioni senza personalità giuridica).
Inoltre, in base alla recente novità legislativa, l'ente è chiamato a rispondere non solo per le "gravi frodi IVA" così come definite nella Direttiva del 2017, ma in relazione a tutti i reati tributari aventi natura fraudolenta, salvo prevedere una riduzione del trattamento sanzionatorio per le fattispecie più lievi.
Infine, la responsabilità non è connessa unicamente all'evasione dell'IVA, ma anche a quella delle imposte dirette, per cui viene introdotto uno strumento di prevenzione e repressione delle condotte dirette non solo a pregiudicare gli interessi finanziari dell'Unione, ma anche quelli interni.
In definitiva, l'esecuzione della Direttiva PIF ha rappresentato l'occasione per il Legislatore interno di inasprire il trattamento sanzionatorio previsto in caso di violazioni delle leggi tributarie che costituiscono altresì illeciti dal punto di vista penale.
Dal punto di vista pratico, avremo l'applicabilità non solo del doppio binario sanzionatorio penale e tributario, ma altresì la possibilità di cumulare ad essi un'ulteriore forma di responsabilità a carico della persona giuridica: insomma, un terzo binario.
Infatti, in caso di una violazione tributaria che costituisca anche illecito penale, a carico della persona fisica autore del reato verranno applicate le sanzioni penali, mentre nei confronti della persona giuridica verranno irrogate le sanzioni tributarie, nonché quelle previste per la responsabilità amministrativa degli Enti dipendente da reato, oltre alla confisca del profitto del reato.
Per fare un esempio, nel caso in cui venisse accertato che una Società abbia presentato una dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti, in base alla recente modifica normativa, nei confronti della persona fisica che ha sottoscritto la dichiarazione potrebbero venire applicate la pena della reclusione da 4 anni a 8 anni (ovvero da 1 anno e sei mesi a 6 anni se l'ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a centomila euro), oltre alle sanzioni accessorie di cui all'art. 12 del D.Lgs n. 74/2000 (tra cui l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche, incapacità a contrattare con la P.A., interdizione dai pubblici uffici etc. nonché, a determinate condizioni, la limitazione della concessione della sospensione condizionale della pena), nonché la confisca del profitto o prezzo del reato, di cui all'art. 12 bis del D.Lgs n. 74/2000 e quella di cui all'art. 240 bis cod. pen. in casi particolari.
Inoltre, nei confronti della persona giuridica, dal punto di vista tributario, oltre al recupero delle maggiori imposte, saranno applicabili le sanzioni tributarie dal 135% al 270% a norma degli artt. 1 e 5 del D.Lgs n. 471/1997 (rispettivamente, per le imposte dirette e l'IVA), oltre agli interessi di mora ai sensi dell'art. 30 del D.P.R. n. 602/1973.
Infine, sempre a carico della persona giuridica, quale ente responsabile ai sensi del D.Lgs n. 231/2001, potranno essere applicate la sanzione amministrativa pecuniaria fino a quattrocento quote (determinate tra un minimo di euro 258 e un massimo di euro 1549 per ciascuna quota), ai sensi dell'art. 25 quinquiesdecies Dlgs n. 231/2001 e una sanzione interdittiva (divieto di contrattare con la P.A., esclusione da finanziamenti agevolazioni o contributi e revoca di quelli già concessi o divieto di pubblicizzare beni o servizi), ai sensi dell'art. 25 quinquiesdecies Dlgs n. 231/2001, oltre alla pubblicazione della sentenza di condanna e la confisca del prodotto o profitto di reato ex art. 19 D.Lgs n. 231/2001.
Dopo aver elencato quindi l'insieme di norme sanzionatorie applicabili in un caso concreto, occorre porsi il problema del coordinamento tra le varie disposizioni.
In primo luogo, quanto al rapporto tra la sanzione prevista dalle leggi tributarie e quella penale, l'art. 19 del D.Lgs n. 74/2000 dispone che quando uno stesso fatto è punito dal punto di vista penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale e che, in ogni caso, permane la responsabilità per la sanzione amministrativa per le persone giuridiche diverse dalle persone fisiche concorrenti nel reato.
Ciò consente la possibilità di irrogare la sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti della persona giuridica, anche in concorrenza con l'applicazione delle sanzioni penali nei confronti dell'autore del reato.
Inoltre, dal punto di vista procedimentale sussiste un "doppio binario", per cui si tratterebbe di ambiti formalmente autonomi, benchè determinati fatti (come, ad esempio, le vicende estintive del debito tributario) possano costituire elementi rilevanti in entrambi i procedimenti.
In riferimento al doppio binario penale-tributario, la Corte Costituzionale, con la sentenza 2 marzo 2018, n. 43, ha escluso una violazione del divieto di ne bis in idem ritenendo che gli Stati membri - nel perseguire finalità di interesse generale - hanno la facoltà di punire una condotta illecita con un duplice sistema sanzionatorio, purchè tali procedimenti risultino coordinati nel tempo e nell'oggetto, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un'unica risposta punitiva, prevedibile e non sproporzionata, avuto specialmente riguardo all'entità della pena complessivamente irrogata.
Ferma restando, quindi, la legittima duplicazione somma tra sanzione amministrativa pecuniaria stabilita dalle leggi tributarie e sanzione penale, ci si domanda come si possa conciliare tale "doppio binario" con la responsabilità amministrativa dipendente da reato di cui all'art. 231/2001.
Ebbene, la responsabilità 231 costituisce davvero un terzo binario sanzionatorio che prosegue nel suo percorso del tutto autonomo e indifferente alle vicende dell'obbligazione tributaria?
Innanzitutto, nel sistema del DLgs n. 231/2001, in caso di pagamento del debito erariale, il Legislatore non ha previsto alcuna causa esimente o estintiva della responsabilità e neppure una attenuante speciale, a differenza da quanto accade nel sistema penale tributario, in palese contrasto con la finalità della normativa in questione che è diretta, oltre che a prevenire gli illeciti, soprattutto a riparare i danni conseguenti ai reati.
Ma vi è di più.
Sotto un diverso profilo, si rileva la mancanza di una norma di raccordo che esplicitamente escluda la confisca a carico dell'ente nell'ipotesi di estinzione del debito tributario o semplicemente nel caso in cui il profitto sia già stato interamente confiscato in capo alla persona fisica autore del reato.
Pertanto, benchè a parere di chi scrive appaia del tutto ragionevole l'ampliamento della responsabilità amministrativa degli enti ai delitti tributari (chiaramente perpetrati nell'interesse o a vantaggio della persona giuridica), manca tuttavia una serie di norme di raccordo con l'apparato sanzionatorio delle leggi tributarie e, soprattutto, la previsione di una esimente o di una attenuante speciale in caso di estinzione del debito tributario, anche per incentivare le condotte riparatorie in tal senso e tutelare quindi in modo concreto l'interesse dello Stato al percepimento dei tributi.
Quanto al problema della possibile duplicazione o triplicazione delle sanzioni per i medesimi fatti, occorre da ultimo valutare se si determini nel caso concreto una violazione del divieto del ne bis in idem, riconosciuto anche a livello europeo, per cui ciascun cittadino UE ha il diritto di non essere punito con una seconda sanzione di natura penale, qualora sia già stato condannato in via definitiva ad una pena idonea a reprimere l'illecito in modo efficace, proporzionato e dissuasivo.
A tale riguardo, occorre ricordare che in base alla giurisprudenza europea, le sanzioni amministrative sono misure punitive che, pur non appartenendo al genere delle sanzioni penali in senso stretto, tuttavia, per la loro natura, per gli interessi tutelati e per il grado di severità che le caratterizza – a prescindere dal nomen iuris – devono ritenersi a tutti gli effetti "sostanzialmente penali".
Per tale ragione, occorre innanzitutto premettere che le sanzioni pecuniarie e interdittive introdotte dall'art. 25 quinqiesdecies del D. Lgs n. 231/2001 potrebbero senz'altro appartenere alla "materia penale", avendo un grado di afflittività elevato e una chiara finalità repressiva.
Di conseguenza occorre ritenere che, allo stato, per i delitti tributari fraudolenti la risposta punitiva dello Stato italiano al fenomeno dell'evasione consiste nella applicazione di diverse sanzioni – tutte particolarmente afflittive – che vanno a sommarsi in capo alla persona giuridica.
Ciò sembrerebbe contrastare con il punto n. 28 del preambolo della stessa Direttiva PIF, per cui "l'auspicato effetto deterrente dell'applicazione di sanzioni penali impone particolare cautela con riferimento ai diritti fondamentali. La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea («Carta»), segnatamente il diritto alla libertà e alla sicurezza, la protezione dei dati di carattere personale, la libertà professionale e il diritto di lavorare, la libertà d'impresa, il diritto di proprietà, il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, la presunzione d'innocenza e i diritti della difesa, i principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene e il principio del ne bis in idem. La presente direttiva mira a garantire il pieno rispetto di tali diritti e principi e deve essere attuata di conseguenza".
Di conseguenza, fermo restando che le misure attuative della Direttiva debbano essere dissuasive, si rileva che comunque "i livelli delle sanzioni non dovrebbero andare oltre quanto è proporzionato ai reati", così come previsto dal Legislatore europeo.
Resta tuttavia da chiedersi se il principio del ne bis in idem sia applicabile anche ad un soggetto giuridico, ovvero se tale diritto spetti unicamente ai cittadini persone fisiche.
In ogni caso, l'eccesso di punizione ovvero la sproporzione della risposta sanzionatoria rispetto al disvalore del fatto, a prescindere dal fatto che possa essere contrario o meno ai principi della Carta Europea dei Diritti Umani, potrebbe peraltro costituire un disincentivo per gli investimenti sul territorio italiano, soprattutto per l'assenza di chiari indici normativi per predisporre un Modello di Organizzazione e Gestione idoneo a prevenire il rischio di tali reati.
A prescindere dall'evoluzione giurisprudenziale che potrà esserci in futuro sul punto, si rileva come, nel momento presente, alla ripresa delle attività economiche che seguirà al "lockdown" disposto in via di urgenza dal Legislatore per contenere il contagio da Covid-19, le imprese dovranno confrontarsi con l'introduzione normativa della responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato connessa con la commissione di taluni delitti tributari e decidere se e quali misure preventive adottare.