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IL TERZO BINARIO PARTE SECONDA: L'ULTERIORE AMPLIAMENTO DELLA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI PER DELITTI TRIBUTARI
M. Urban, in Riv. Il Tributo
ilTributo.it - n.70
- 2021
Il terzo binario parte seconda: l'ulteriore ampliamento della responsabilità amministrativa degli enti per delitti tributari
Di Martina Urban
1. Introduzione.- 2. La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. - 3. L'inserimento dei delitti tributari nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli enti. - 4. Il terzo binario sanzionatorio. - 5. La (ir)rilevanza del pagamento del debito tributario. - 6. Il rapporto tra confisca 231 e pagamento del debito tributario. - 7. La predisposizione di misure di autoregolazione. - 8. Conclusioni.
1. Introduzione.
Nell'ultimo anno solare, il Legislatore ha apportato rilevanti modifiche al sistema penale-tributario, attraverso tre interventi normativi successivi, dimostrando il chiaro intento di ampliare la risposta punitiva del fenomeno dell'evasione, confidando che l'inasprimento delle sanzioni possa assolvere alla funzione di prevenire condotte pregiudizievoli per gli interessi erariali.
Come già scritto in precedenza su questa stessa Rivista , con l'emanazione del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, in tema di modifiche urgenti al sistema fiscale, nell'autunno del 2019 inizialmente il Legislatore ha aumentato le pene per le principali fattispecie di reato ed ha abbassato le soglie di punibilità in caso di "dichiarazione infedele" (di cui all'art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000), nonché per i delitti in materia di omesso versamento di IVA o di ritenute, (di cui agli artt. 10 bis e 10 ter), ampliandone quindi l'ambito di punibilità.
La portata innovativa di questo primo intervento legislativo (contenuto nell'art. 39 del Decreto Legge n. 124/2019) non ha riguardato solo l'ampliamento della punibilità o l'inasprimento delle pene relative a talune singole fattispecie di reato – rimaste tuttavia inalterate nei loro elementi essenziali - ma va ricollegata soprattutto all'introduzione per la maggior parte dei delitti tributari dell'istituto della confisca allargata di cui all'art. 240 bis cod. pen. (in caso di evasione di particolare entità), nonché l'estensione della responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato in relazione al delitto di "dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti", di cui all'art. 2 del D.Lgs n. 74/2000.
Tuttavia, le suddette norme, pur essendo contenute in un Decreto Legge, non sono entrate immediatamente in vigore, dal momento che lo stesso art. 39, comma 3, del citato D.L. n. 124/2019, ha differito la loro efficacia al momento della conversione in legge.
Sennonché, con la conversione in legge del Decreto Legge n. 124/2019, il testo dell'art. 39 è risultato profondamente diverso rispetto a quello originario (peraltro mai entrato in vigore).
In primo luogo, l'abbassamento della soglia di punibilità riguarda unicamente il delitto di "dichiarazione infedele", punibile allorché l'imposta evasa sia superiore ad euro centomila e sempreché gli elementi attivi sottratti all'imposizione siano superiori al dieci percento di quelli attivi indicati in dichiarazione o, comunque, siano superiori ad euro 2 milioni.
Al contrario, in relazione ai reati di omesso versamento di IVA o di ritenute (di cui agli artt. 10 bis e 10 ter), viene mantenuta la formulazione precedente (non essendo stata convertita la norma che li riguardava), per cui gli stessi non risultano oggetto di alcuna modifica normativa e continuano ad essere perseguiti solo qualora l'imposta o le ritenute non versate siano superiori, rispettivamente, ad euro 150.000 o 250.000.
Inoltre, in sede di conversione, la causa di non punibilità connessa all'integrale pagamento del debito tributario, di cui all'art. 13 del D.Lgs n. 74/2000, è stata ampliata anche ai delitti di dichiarazione fraudolenta di cui agli art. 2 e 3 del citato testo normativo, seppure in relazione ad ipotesi limitate, con il chiaro intento "premiale" per il contribuente-imputato, per indurlo all'adempimento degli obblighi fiscali e, quindi, al soddisfacimento degli interessi erariali.
In particolare, i delitti di "dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" ex art. 2 e di "dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici" di cui all'art. 3 del citato D.Lgs n. 74/2000, non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
Infine, per quanto qui interessa, la novità legislativa più rilevante delle norme entrate in vigore nel dicembre 2019 riguarda l'inserimento nell'elenco tassativo del reati da cui discende la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche di cui al D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 dei delitti tributari aventi carattere fraudolento ("dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" ex art. 2, "dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici" di cui all'art. 3, "emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" di cui all'art. 8, "occultamento e distruzione di documenti contabili" ex art. 10, nonchè "sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte" di cui all'art. 11 del D.Lgs n. 74/2000).
Da ultimo, ad estate inoltrata, la materia relativa alla responsabilità amministrativa degli enti è stata ulteriormente ampliata con la approvazione del D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75, di attuazione della Direttiva (UE) 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale.
In base alle previsioni dell'art. 5 del suddetto D.Lgs n. 75/2020, la responsabilità amministrativa degli enti è configurabile anche in relazione ai delitti privi di natura fraudolenta, come quelli di "dichiarazione infedele", "omessa dichiarazione" e "indebita compensazione", a condizione che la condotta sia stata commessa nell'ambito di un sistema fraudolento transfrontaliero e che abbia determinato una evasione ai fini IVA per un importo non inferiore a dieci milioni di euro.
Attualmente, l'art. 25 quinquiesdecies, del D. Lgs. n. 231/2001, introdotto dall'art. 39, comma 2, del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modificazioni nella L. 19 dicembre 2019, n. 157 e modificato dall'art. 5 del D.Lgs n. 75/2020, prevede che:
"1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall'articolo 2, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
b) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 2, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
c) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, previsto dall'articolo 3, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
d) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 8, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
e) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 8, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
f) per il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, previsto dall'articolo 10, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
g) per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, previsto dall'articolo 11, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.
1-bis. In relazione alla commissione dei delitti previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, se commessi nell'ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per il delitto di dichiarazione infedele previsto dall'articolo 4, la sanzione pecuniaria fino a trecento quote;
b) per il delitto di omessa dichiarazione previsto dall'articolo 5, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
c) per il delitto di indebita compensazione previsto dall'articolo 10-quater, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.
2. Se, in seguito alla commissione dei delitti indicati ai commi 1 e 1-bis, l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entita', la sanzione pecuniaria e' aumentata di un terzo.
3. Nei casi previsti dai commi 1, 1-bis e 2, si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e)".
2. La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche
In generale, nei confronti dell'ente sussiste la responsabilità amministrativa di cui al D.Lgs n. 231/2001 per gli illeciti amministrativi dipendenti dai reati commessi nel suo interesse o vantaggio da soggetti che rivestono una posizione apicale in azienda o da soggetti ad essi sottoposti.
Il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ha introdotto nel nostro ordinamento un sistema di prevenzione e sanzione dei crimini connessi allo svolgimento delle attività economiche direttamente nei confronti dell'ente nel cui ambito si è realizzato l'illecito, in considerazione del fatto che le condotte illecite determinano un pregiudizio per il regolare funzionamento del mercato.
La finalità di tale normativa è duplice: da un lato si propone di reprimere in maniera efficace comportamenti criminosi commessi nell'ambito dell'attività di impresa e, dall'altro, persegue una finalità essenzialmente preventiva, diretta ad impedire la realizzazione di condotte illecite attraverso l'adozione di una organizzazione trasparente e meccanismi di controllo al suo interno .
Tale responsabilità è tuttavia configurabile unicamente in relazione a talune specifiche fattispecie di reato connesse ad una sorta di "economia illegale" realizzata dall'ente nella ricerca del profitto, sia nel caso di una politica aziendale, che nelle ipotesi di mancanza di organizzazione e controllo.
In tal senso, il legislatore, preso atto dell'incremento del fenomeno, ha recepito l'esigenza di dover punire direttamente gli enti nell'interesse o a vantaggio dei quali il reato è stato posto in essere, tenendo altresì conto della maggiore capacità criminale dell'azienda rispetto a quella del singolo, non foss'altro che per la maggiore disponibilità economica.
Nel nostro ordinamento le persone giuridiche non esprimono una volontà propria, ma agiscono attraverso i soggetti che compongono i propri organi (c.d. rappresentanza organica), con la conseguenza che solo le persone fisiche possono soggiacere alla sanzione penale, pur avendo commesso i reati nell'interesse dell'ente, in ossequio al principio costituzionale di cui all'art. 27 Cost, in base al quale la responsabilità penale è personale.
Per tale ragione, il Legislatore ha configurato la autonoma punibilità dell'ente come un tertium genus di responsabilità, definita "amministrativa" - proprio per non porsi in contrasto con il dettato costituzionale - la quale presenta caratteri del tutto peculiari, poiché dipende dalla realizzazione di un reato ed è accertata necessariamente nell'ambito del procedimento penale, con l'applicazione di sanzioni pecuniarie e interdittive (oltre alla confisca) particolarmente afflittive.
Inoltre, la persona giuridica risponde per "colpa di organizzazione", sulla base del principio per cui l'ente è tenuto ad eliminare o minimizzare il rischio che le finalità aziendali siano perseguite con modalità illecite , per cui assume un ruolo centrale proprio la prevenzione del rischio di reato all'interno dell'impresa, attraverso procedure operative che consentano una verifica della legalità delle prassi aziendali.
In tale prospettiva, ai sensi dell'art. 6, comma 1, del D.Lgs n. 231/2001, l'ente non risponde se prova di aver predisposto un adeguato Modello di Organizzazione e Gestione (MOG) idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi, di aver affidato il compito di vigilanza ad un apposito Organismo autonomo e che i soggetti che hanno commesso il reato abbiano eluso fraudolentemente il suddetto Modello.
Ovviamente, non vi è alcun obbligo per le Società di dotarsi di un MOG, ma ciò appare senz'altro opportuno, non solo per una eventuale difesa in giudizio, ma anche per amministrare al meglio l'impresa, dato che la cattiva gestione è il fattore che spesso favorisce i comportamenti illeciti.
Tuttavia, l'adozione di un MOG non determina un'automatica esimente per la persona giuridica, dato che il Modello organizzativo deve essere specifico, attuale e dinamico, nel senso che deve essere aggiornato a seconda dei mutamenti aziendali e delle novità legislative.
In assenza di un Modello di Organizzazione e Controllo, la responsabilità dell'ente andrà esclusa unicamente "allorché sia dimostrata l'adozione di misure cautelari idonee a prevenire i reati dei sottoposti, ancorché non formalizzati in un modello, dovendosi, in tal caso, provare (al fine di affermare la responsabilità dell'ente) che il fatto sia stato propiziato dall'inosservanza del dovere di direzione e vigilanza" .
La sussistenza della responsabilità ex D.Lgs n. 231/2001 viene accertata nell'ambito del procedimento penale di cognizione dei reati presupposto e comporta l'applicazione di sanzioni particolarmente gravose: in primo luogo, in relazione a ciascuna fattispecie di reato, il Legislatore individua una sanzione amministrativa pecuniaria da determinarsi sulla base della gravità del fatto e delle condizioni economiche dell'ente. Inoltre, in presenza di danno di rilevante entità o di reiterazione, all'ente potranno essere applicate anche le sanzioni interdittive (l'interdizione dall'esercizio dell'attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e il divieto di pubblicizzare beni o servizi), oltre alla confisca del prezzo o profitto del reato, nonchè la pubblicazione della sentenza di condanna.
Da ultimo, occorre precisare che la responsabilità amministrativa degli enti non è astrattamente configurabile per qualunque fattispecie di reato, ma unicamente in relazione a quelle contenute nell'elenco tassativo e, da ultimo, nel novero dei reati presupposto della responsabilità amministrativa il Legislatore ha inserito anche i delitti tributari che strutturalmente sono strettamente connessi alla politica aziendale e all'attività di impresa e nella quasi totalità dei casi sono perpetrati a vantaggio o nell'interesse dell'ente.
3. L'inserimento dei delitti tributari nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli enti
L'ampliamento della responsabilità amministrativa degli enti per delitti tributari è stata introdotta in esecuzione della Direttiva UE 2017/1931 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale (c.d. Direttiva PIF), la quale ha la finalità - tra le altre - di indurre gli Stati membri a dotarsi di adeguate misure sul piano del diritto penale per fare fronte al fenomeno delle gravi frodi IVA che danneggiano gli interessi finanziari dell'Unione Europea.
Tra le misure di diritto penale da adottare, la Direttiva ha espressamente previsto la responsabilità delle persone giuridiche, in ordine alle fattispecie criminose fraudolente e transnazionali che possano determinare una grave frode IVA .
Il Legislatore europeo, ai sensi dell'art. 2, comma 2, della Direttiva, indica i criteri in base ai quali i reati "contro il sistema comune dell'IVA" dovrebbero essere considerati "gravi" e, cioè, qualora siano stati posti in essere attraverso condotte intenzionali, siano connessi al territorio di due o più Stati membri e diano luogo ad un danno complessivo almeno pari a 10 milioni di euro.
Recependo la Direttiva in questione, il Legislatore italiano ha quindi ampliato la responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato ai delitti tributari, introducendo tuttavia regole più severe e restrittive rispetto a quelle imposte dalla Direttiva in questione.
Infatti, la disciplina interna è innanzitutto applicabile non solo alle società, ma nei confronti di tutti gli enti sottoposti alla disciplina di cui al D. Lgs. n. 231/2001 (compresi quindi associazioni e fondazioni senza personalità giuridica).
Inoltre, in base alla recente novità legislativa, l'ente è chiamato a rispondere non solo per le "gravi frodi IVA" così come definite nella Direttiva del 2017, ma in relazione a tutti i reati tributari aventi natura fraudolenta e, da ultimo, anche per i delitti non fraudolenti, seppure a determinate condizioni.
In tal senso, in riferimento ai delitti tributari più gravi di "dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti", "dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici", "emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" e " sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte", di cui agli artt. 2, 3, 8 e 11 del D.Lgs n. 74/2000, la condotta è considerata tout court "grave frode", senza limiti quantitativi, salvo prevedere una riduzione del trattamento sanzionatorio per le fattispecie più lievi.
Inoltre, nell'elenco tassativo dei reati presupposto vengono inseriti anche i delitti di "dichiarazione infedele", omessa dichiarazione" e "indebita compensazione" che non hanno natura fraudolenta, a condizione che tali fattispecie abbiano determinato una evasione di imposta non inferiore a 10 milioni di euro e che siano stati commessi nell'ambito di un sistema transfrontaliero.
Infine, si rileva che nel "sistema 231" attuale la responsabilità degli enti non è connessa unicamente all'evasione dell'IVA, ma anche a quella delle imposte dirette, per cui viene introdotto uno strumento di prevenzione e repressione delle condotte dirette non solo a pregiudicare gli interessi finanziari dell'Unione, ma anche a tutela dell'Erario italiano.
In definitiva, l'esecuzione della Direttiva PIF ha rappresentato l'occasione per il Legislatore interno di inasprire il trattamento sanzionatorio per il fenomeno dell'evasione fiscale, determinando, in particolar modo, una significativa estensione della responsabilità degli enti a tutti i possibili reati tributari senza considerare che, l'ordinamento prevede già numerosi profili sanzionatori per la repressione del fenomeno dell'evasione fiscale.
4. Il terzo binario sanzionatorio.
Con l'introduzione dei delitti tributari nel novero dei reati presupposto della responsabilità degli enti ex 231, in caso di violazioni delle leggi tributarie che costituiscono altresì fattispecie di reato dal punto di vista penale, non è configurabile solo il c.d. "doppio binario" (per cui sono applicabili sanzioni sia dal punto di vista penale che sul piano amministrativo-tributario), ma vi sarà altresì la possibilità di cumulare un'ulteriore forma di responsabilità per gli stessi fatti direttamente a carico della persona giuridica: una sorta di terzo binario punitivo .
In primo luogo, quanto al rapporto tra la sanzione prevista dalle leggi tributarie e quella penale, l'art. 19 del D.Lgs n. 74/2000 dispone che quando uno stesso fatto costituisce illecito amministrativo e fattispecie penalmente rilevante, si applica la disposizione speciale e che, in ogni caso, permane la responsabilità per la sanzione amministrativa per le persone giuridiche diverse dalle persone fisiche concorrenti nel reato.
Per tale ragione, nei confronti del contribuente persona giuridica viene irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria, anche in concorrenza con l'applicazione delle sanzioni penali nei confronti dell'autore del reato.
Tuttavia, in caso di una violazione tributaria che costituisca anche illecito penale riferibile all'attività di impresa di una società, l'ordinamento attuale prevede l'applicabilità di sanzioni penali a carico della persona fisica autore del reato, mentre nei confronti della persona giuridica verranno irrogate le sanzioni tributarie, nonché quelle previste per la responsabilità amministrativa degli Enti dipendente da reato, oltre alla confisca del profitto del reato.
Per fare un esempio, nel caso in cui venisse accertato che una Società ha presentato una dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti, in base alla recente modifica normativa, nei confronti della persona fisica che ha sottoscritto la dichiarazione potrebbero venire applicate la pena della reclusione da 4 anni a 8 anni (ovvero da 1 anno e sei mesi a 6 anni se l'ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a centomila euro), oltre alle sanzioni accessorie di cui all'art. 12 del D. Lgs. n. 74/2000 (tra cui l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche, incapacità a contrattare con la P.A., interdizione dai pubblici uffici etc. nonché, a determinate condizioni, la limitazione della concessione della sospensione condizionale della pena) e, inoltre, il Giudice penale dovrà disporre la confisca del profitto o prezzo del reato, di cui all'art. 12 bis del D.Lgs n. 74/2000 ed, eventualmente, anche quella "allargata" di cui all'art. 240 bis cod. pen. in casi particolari.
Inoltre, nei confronti della persona giuridica, dal punto di vista tributario, oltre al recupero delle maggiori imposte, saranno applicabili le sanzioni tributarie a norma degli artt. 1 e 5 del D.Lgs n. 471/1997, nonché le sanzioni previste dall'art. 25 quinquiesdecies Dlgs n. 231/2001.
A tale ultimo riguardo, qualora l'ente venisse ritenuto responsabile ai sensi del D.Lgs n. 231/2001, potranno essere applicate la sanzione amministrativa pecuniaria fino a quattrocento quote (determinate tra un minimo di euro 258 e un massimo di euro 1549 per ciascuna quota) nonché, in caso di recidiva o profitto di rilevante entità, una sanzione interdittiva (divieto di contrattare con la P.A., esclusione da finanziamenti agevolazioni o contributi e revoca di quelli già concessi o divieto di pubblicizzare beni o servizi), oltre alla pubblicazione della sentenza di condanna e, infine, la confisca del prodotto o profitto di reato ex art. 19 D.Lgs n. 231/2001.
Occorre quindi porsi il problema del coordinamento tra le varie disposizioni e l'eventuale ragionevolezza di un sistema punitivo così articolato in ordine al medesimo fatto.
In primo luogo, ai sensi dell'art. 20 del D.Lgs n. 74/2000, il procedimento amministrativo è autonomo da quello tributario, onde evitare che quest'ultimo resti sospeso in attesa della decisione definitiva del Giudice Penale: sussiste un "doppio binario", per cui i due procedimenti proseguono su strade parallele, con regole processuali proprie.
E' da precisare che i due ambiti non rimangono del tutto separati, dato che determinati fatti che si verificano nel procedimento amministrativo possono costituire elementi rilevanti anche in ambito penale come, ad esempio, l'estinzione del debito tributario, che costituisce in talune ipotesi una causa di non punibilità ovvero una circostanza attenuante ad effetto speciale e, dal punto di vista processual-penalistico, consente l'accesso al rito speciale della applicazione della pena si richiesta di cui agli artt. 444 e segg. cod. proc. pen. (il c.d. "patteggiamento").
In assenza di una specifica norma sul punto, il problema si pone in ordine al coordinamento delle sanzioni irrogate direttamente nei confronti della persona giuridica e quelle derivanti dalla sua responsabilità ex D.Lgs n. 231/2001.
Da un lato, infatti, il presupposto da cui discende la sanzione sarebbe diverso: dal punto di vista amministrativo, si tratta di punire la violazione della norma tributaria, mentre ai sensi della normativa 231 la responsabilità discende dal fatto che la violazione della norma tributaria derivi da una "colpa da organizzazione".
Tuttavia, la risposta punitiva ad un comportamento illecito deve essere comunque proporzionata alla sua gravità, altrimenti è irragionevole.
Quanto al problema della possibile duplicazione o triplicazione delle sanzioni per i medesimi fatti, occorre quindi valutare se si determini nel caso concreto una violazione del principio del ne bis in idem, sancito dall'art. 50 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e riconosciuto anche a livello europeo, per cui ciascun cittadino ha il diritto di non essere punito con una seconda sanzione di natura penale, qualora sia già stato condannato in via definitiva ad una pena idonea a reprimere l'illecito in modo efficace, proporzionato e dissuasivo.
Nel nostro ordinamento, la Corte di Cassazione Penale, con sentenza del 22 settembre 2017, n. 6993 (depositata il 14 febbraio 2018), richiamandosi alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ha ribadito la legittimità di un sistema sanzionatorio duplice, che faccia ricorso a procedimento penali e amministrativi per le condotte di evasione fiscale, purché le plurime risposte sanzionatorie non comportino un sacrificio eccessivo per l'interessato ed, in particolare, i due procedimenti siano connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico in maniera sufficientemente stretta .
Sennonché, la Suprema Corte non chiarisce quali siano i criteri per valutare la proporzionalità della pena né quali siano i "meccanismi" correttivi per garantire la suddetta proporzionalità.
Inoltre, in merito ai rapporti tra procedimento penale e tributario, è intervenuta la Corte Costituzionale che, con la sentenza 2 marzo 2018, n. 43, ha aperto la possibilità di riconsiderare l'applicabilità del principio del ne bis in idem in materia, dal momento che, sulla scorta della giurisprudenza della Corte EDU (sent. 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, ric. n. 24130/11), gli Stati membri - nel perseguire finalità di interesse generale - hanno la facoltà di punire una condotta illecita con un duplice sistema sanzionatorio, purchè tali procedimenti risultino coordinati nel tempo e nell'oggetto, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un'unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all'entità della pena complessivamente irrogata.
In tal senso, anche la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nella sentenza Menci , ha affermato che un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale può essere giustificato allorché detti procedimenti realizzano "scopi complementari", purchè il cumulo di procedimenti e di sanzioni previsto da una normativa nazionale non superi i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi.
Ferma restando, quindi, la legittima duplicazione di sanzioni sul piano amministrativo e su quello penale, ci si domanda come si possa conciliare tale "doppio binario" con la responsabilità amministrativa dipendente da reato di cui all'art. 231/2001.
Occorre innanzitutto sottolineare come la stessa Direttiva PIF - che ha ispirato i recenti interventi legislativi in materia - dispone in ogni caso che "l'auspicato effetto deterrente dell'applicazione di sanzioni penali impone particolare cautela con riferimento ai diritti fondamentali. La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea («Carta»), segnatamente il diritto alla libertà e alla sicurezza, la protezione dei dati di carattere personale, la libertà professionale e il diritto di lavorare, la libertà d'impresa, il diritto di proprietà, il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, la presunzione d'innocenza e i diritti della difesa, i principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene e il principio del ne bis in idem. La presente direttiva mira a garantire il pieno rispetto di tali diritti e principi e deve essere attuata di conseguenza" (cfr. punto n. 28 del preambolo della stessa Direttiva 2017/1371).
Tuttavia tali principi , tra cui quello del divieto di bis in idem, sono formulati per tutelare i diritti delle persone fisiche e quindi appare dubbio che sia direttamente applicabili anche ad una persona giuridica, ancorché ente meritevole di riconoscimento e tutela da parte dell'ordinamento in quanto espressione delle libertà individuali dei cittadini.
In ogni caso, fermo restando che le misure attuative della Direttiva debbano essere dissuasive, si rileva che comunque "i livelli delle sanzioni non dovrebbero andare oltre quanto è proporzionato ai reati", così come previsto dal Legislatore europeo e, dal punto di vista costituzionale, l'eventuale sproporzione della risposta punitiva dell'ordinamento andrebbe censurata sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza.
5. La (ir)rilevanza del pagamento del debito tributario
La questione più rilevante che si pone all'interprete è il fatto che il pagamento del debito tributario non comporti alcun effetto in ordine all'accertamento della responsabilità amministrativa dell'ente ex D. Lgs n. 231/2001, che risulta indifferente alle vicende dell'obbligazione tributaria.
Infatti, in caso di pagamento del debito erariale, il Legislatore non ha previsto alcuna causa esimente o estintiva della responsabilità amministrativa dell'ente, nè alcuna specifica attenuante.
Ciò contrasta con l'intento del Legislatore del sistema penale tributario delineato all'interno del DLgs n. 74/2000 che, per la persona fisica autore del reato, ricollega all'estinzione dell'obbligazione tributaria numerosi effetti premiali, quali l'applicabilità di una causa di non punibilità (anche se a determinate condizioni) o il riconoscimento di una circostanza attenuante ad effetto speciale, nonché il fatto di evitare l'irrogazione delle sanzioni accessorie di cui all'art. 12 del citato D.Lgs. n. 74/2000.
Inoltre, la mancanza di una previsione espressa che determini effetti premiali per l'estinzione del debito tributario sembra risultare in contrasto con la principale finalità della normativa di cui al D. Lgs n. 231/2001 che è diretta, oltre che a prevenire gli illeciti, soprattutto a riparare alle conseguenze negative derivanti dai reati commessi nell'ambito di impresa.
In nessun caso l'estinzione del debito tributario costituisce causa di non punibilità per l'ente e - al limite – potrà essere valutata unicamente quale condotta riparatoria volta a reintegrare l'offesa perpetrata con la realizzazione del reato, ai fini dell'applicabilità dell'attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 12, comma 2, del D.Lgs n. 231/2001.
Ciò determina una forte discrasia con quanto previsto dal D. Lgs. n. 74/2000 in ordine alla punibilità delle persone fisiche.
Come detto sopra, i soggetti chiamati a rispondere dei reati di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
Il soggetto persona fisica che ha commesso il delitto tributario nell'ambito dell'impresa ha senz'altro interesse a versare quanto dovuto per far venir meno la sua punibilità, prima dell'inizio della verifica fiscale, mentre la società (che è il soggetto in grado di estinguere il proprio debito fiscale) al contrario potrebbe non aver interesse ad effettuare il suddetto pagamento, dato che la sua responsabilità non viene meno .
6. Il rapporto tra confisca 231 e pagamento del debito tributario
Sotto un diverso profilo, si rileva la mancanza di una norma di raccordo che esplicitamente escluda la confisca a carico dell'ente nell'ipotesi di estinzione del debito tributario o nel caso in cui sia già stata eseguita la confisca ai sensi dell'art. 12 bis del D.Lgs n. 74/2000.
In generale, la confisca a carico degli enti collettivi prevista dagli artt. 9 e 19 del D. Lgs n. 231/2001 è configurata come una sanzione autonoma e principale rispetto a quelle pecuniarie ed interdittive e si applica obbligatoriamente in caso di accertamento della responsabilità dell'ente, al fine di eliminare i vantaggi economici che la Società ha tratto dalla realizzazione del reato.
La confisca ha ad oggetto il profitto o il prezzo derivante dall'illecito, ed ha la funzione di trasformare il vantaggio derivante dal reato in un costo per l'impresa, affinché l'ente inneschi un circolo virtuoso diretto a prevenire ulteriori condotte criminose nel suo ambito.
Nel caso dei delitti tributari, il profitto del reato (che di regola è costituito dalle maggiori imposte dovute all'Amministrazione Finanziaria) è oggetto di confisca ai sensi dell'art. 12 bis del D.Lgs n. 74/2000.
Ovviamente, la confisca non viene applicata qualora l'imputato-contribuente abbia estinto il debito tributario, versando quanto dovuto all'Erario .
Al contrario, nel sistema della responsabilità degli enti non vi è alcuna norma che impedisca espressamente l' applicabilità della confisca obbligatoria nei confronti dell'ente in caso di estinzione del debito tributario, dimostrando la irragionevolezza del mancato raccordo tra sistemi punitivi paralleli .
7. La predisposizione di misure di autoregolazione.
Al fine di evitare che alla Società venga imputata una responsabilità amministrativa dipendente da uno dei reati tributari, appare necessario predisporre delle misure di autoregolazione e, cioè, l'adozione di una struttura organizzata in modo da prevenire il rischio di realizzazione di tali delitti nell'ambito dell'impresa.
Nonostante non vi sia un vero e proprio obbligo normativo di adottare un Modello di Organizzazione e Controllo, ex art. 6 del D.Lgs n. 231/2001, tuttavia l'ampliamento della responsabilità amministrativa anche in riferimento ai delitti tributari costituisce un ulteriore incentivo per predisporre adeguate misure al fine di eliminare il rischio da reato e, quindi, la "colpa da organizzazione".
Pur in una momento di grave crisi economica dovuta all'emergenza sanitaria in atto, si rende quindi necessario un intervento generalizzato, qualunque sia la forma e la tipologia di attività aziendale, diretto a predisporre o adeguare il Modello o. quantomeno, per adottare delle procedure operative concrete per evitare il rischio di realizzazione di delitti tributari.
Innanzitutto, per l'adeguamento dell'organizzazione aziendale appare senz'altro utile fare riferimento alle procedure del "regime di adempimento collaborativo" introdotto per le grandi imprese dagli artt. 3 e segg il D.Lgs 5 agosto 2015, n. 128, con l'obiettivo di instaurare un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente che miri ad un aumento del livello di certezza sulle questioni fiscali rilevanti, attraverso la valutazione preventiva delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali.
In ogni caso, anche imprese di dimensioni ridotte non possono sottrarsi alla necessaria predisposizione di procedure concrete per evitare una contestazione che porti all'applicabilità di sanzioni tributarie, penali e amministrative, con il rischio per la continuità aziendale.
In tal senso, oltre ad una meticolosa tenuta della contabilità aziendale, occorrerà procedere, ad esempio, ad attività di adeguato controllo dell'identità reale del fornitore (rilevante ai fini dell'eventuale contestazione di utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti), nonché quella dell'utilizzo di istituti formalmente leciti al solo fine di conseguire un indebito risparmio di imposta che potrebbero essere oggetto di contestazione da parte dell'Amministrazione Finanziaria sotto il profilo dell'abuso del diritto.
8. Conclusioni.
Pertanto, benché appaia del tutto ragionevole l'ampliamento della responsabilità amministrativa degli enti anche in relazione ai delitti tributari (chiaramente perpetrati nell'interesse o a vantaggio della persona giuridica), manca tuttavia una serie di norme di raccordo con l'apparato sanzionatorio delle leggi tributarie e, soprattutto, la previsione di una esimente o di una attenuante speciale in caso di estinzione del debito tributario, anche per incentivare le condotte riparatorie in tal senso e tutelare, quindi, in modo concreto l'interesse dello Stato al percepimento dei tributi.
La configurabilità della responsabilità amministrativa degli enti dipendente da taluno dei delitti tributari si risolve in una ulteriore azione punitiva che segue un percorso del tutto autonomo, percorrendo un terzo binario che si affianca al sistema duplice di repressione del fenomeno dell'evasione sia dal punto di vista penale che da quello tributario e potrebbe determinare, in definitiva, un "eccesso di punizione" tale da costituire - peraltro - un disincentivo per gli investimenti sul territorio italiano.