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IRRILEVANZA PENALE DELL'OMESSA COMPILAZIONE DEL QUADRO RW
M. Urban, in Riv. Il Tributo
ilTributo.it - n.76 - 2021



Irrilevanza penale dell'omessa compilazione del quadro RW - Studio Legale Traversi - studio legale auto riciclaggio Firenze
Irrilevanza penale dell'omessa compilazione del quadro RW
Commento a Sentenza della Cassazione Penale, Sez. VI, 19 maggio 2021 (ud 4 maggio 2021) n. 19849

Di Martina Urban
Avvocato penalista e tributarista in Firenze

La sentenza in commento riguarda la possibile configurabilità del delitto di "dichiarazione infedele" di cui all'art. 4 del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nell'ipotesi di omessa compilazione del quadro RW relativa al possesso di beni all'estero, giungendo alla conclusione che tale violazione tributaria non presenti profili di rilevanza penale.
In generale, l'art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000, nella sua attuale formulazione, dispone che "fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni".
La condotta punita consiste nella presentazione di una dichiarazione non veritiera ai fini delle imposte dirette o IVA, in quanto il contribuente, al fine di evadere dette imposte, indica elementi attivi inferiori a quelli effettivi (ad esempio ricavi percepiti ma non fatturati) oppure elementi negativi in realtà insussistenti (costi non realmente sostenuti).
Ciò che differenzia detta fattispecie da quella di "dichiarazione fraudolenta" di cui all'art. 2 del medesimo D.Lgs n. 74/2000 consiste nel fatto che il contribuente si limita a esporre in dichiarazione dati numerici non corrispondenti alla realtà, da cui discende un calcolo dell'imposta non corretto, senza tuttavia avvalersi di alcun artificio fraudolento e, cioè, di fatture o altri documenti falsi che, avendo rilevo probatorio ai fini delle leggi tributarie, rendono più insidiosa la condotta di evasione, data l'idoneità di tali documenti a indurre in inganno l'Amministrazione Finanziaria in caso di accertamento fiscale.
Pertanto, il delitto in questione potrà essere realizzato con la semplice presentazione di una dichiarazione ideologicamente falsa, purchè risultino superate entrambe le soglie di punibilità previste dalla norma (e, cioè che l'imposta evasa sia superiore a euro centomila e che l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione sia superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni) e semprechè la punibilità non venga meno, a seguito del pagamento del debito tributario, ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs n. 74/2000, anche mediante ravvedimento operoso, prima dell'inizio delle attività di verifica.
Tornando al caso di specie, l'Amministrazione Finanziaria aveva accertato che l'imputato in un dato anno aveva a disposizione una ingente somma depositata su un conto svizzero e che il contribuente aveva omesso di compilare il quadro RW della dichiarazione dei redditi in ordine a tale bene.
Nel caso di specie, al contribuente-imputato veniva contestato il delitto di "dichiarazione infedele" relativamente a tale somma, da ritenersi quale reddito sul quale avrebbe dovuto pagare le imposte in Italia, perché relativo ad una somma mai sottoposta a tassazione negli anni precedenti che, perciò, doveva considerarsi integralmente tassabile nell'anno in cui ne era stata accertata l'esistenza.
Si pone allora il problema di valutare se l'omessa compilazione del quadro relativo ai beni posseduti che si trovano all'estero, in caso di superamento delle soglie di punibilità previste dall'art. 4 del D.Lgs n. 74/2000, possa configurare fattispecie penalmente rilevante.
Secondo i Giudici della Suprema Corte, tale omissione non configura una penale responsabilità e non solo per la mancanza di prova che la somma rinvenuta sia stata prodotto in un unico periodo d'imposta ma perché, in ogni caso, tale denaro non sarebbe comunque suscettibile di tassazione ai fini delle imposte dirette in Italia.
Infatti, il reato di "dichiarazione infedele" (come gli altri delitti di cui al D.Lgs n. 74/2000) è connesso all'evasione delle imposte dirette o IVA e si configura unicamente in relazione alla dichiarazione relativa a dette imposte.
Al contrario, i beni posseduti all'esterno devono essere dichiarati ai fini dell'applicabilità di una specifica imposta e, cioè, l'IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero), o l'IVIE (imposta sul valore degli immobili detenuto all'estero) e non anche ai fini IRES o IRPEF, che sono le uniche imposte dirette per cui il D.Lgs n. 74/2000 prevede anche una sanzione penale.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione puntualizza che "la materia é disciplinata dal D.L. 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla L. 4 agosto 1990, n. 227 che, nel regolare la rilevazione a fini fiscali di trasferimenti da e per l'estero di denaro, titoli e valori, prevede una serie di obblighi dichiarativi a carico dei contribuenti italiani con finalità di "monitoraggio fiscale", allo scopo di controllare che, attraverso transazioni finanziarie da e per l'estero, soggetti tenuti al pagamento delle tasse in Italia possano sottrarre proprie ricchezze al controllo erariale. A tal fine é stato previsto che chi sia tenuto alla presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, deve compilare il quadro RW segnalando i movimenti e l'ammontare delle ricchezze detenute all'estero.
Ciò che conta in questa sede evidenziare é come tale disciplina [...] non prevede un apparato sanzionatorio penale in caso di violazione dell'obbligo dichiarativo. E ciò per la constatazione che l'adempimento di questo obbligo é finalizzato ad imporre il pagamento di una specifica imposta (l'IVAFE, imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero, o l'IVIE, imposta sul valore degli immobili detenuto all'estero) calcolata in misura fissa o con coefficienti percentuali (variabili nel tempo dall'1 al 2% del valore dei beni finanziari posseduti, e dallo 0,4% allo 0,76% della rendita immobiliare); per il mancato adempimento di quell'obbligo dichiarativo sono previste esclusivamente sanzioni pecuniarie di natura amministrativa ovvero, in casi speciali, misure di confisca per equivalente sempre di natura amministrativa (L. n. 167 del 1990, art. 5, e succ. modifiche), alle quali si sono affiancate, ma solo a partire dal 2014, ulteriori sanzioni pecuniarie amministrative per il mancato pagamento delle imposte IVAFE e IVIE" (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 19 maggio 2021, n. 19849).
Per tale ragione, non è configurabile nel caso di specie il delitto di cui all'art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000, in quanto tale reato punisce esclusivamente la condotta di chi, al fine di evasione, presenta una dichiarazione infedele relativa alle imposte dei redditi o sul valore aggiunto.
In conclusione: "la somma di denaro detenuta da un contribuente italiano su un conto corrente di una banca estera (così come uno strumento finanziario o un bene immobile) non é considerata, di per sé sola, parte del reddito imponibile del contribuente italiano, restando tassabili in Italia alle condizioni prescritte dalla legge, esclusivamente le rendite - come gli interessi conseguiti da un investimento finanziario o le rendite immobiliari - che il bene detenuto all'estero dovesse eventualmente produrre; rendite che, peraltro, vanno dichiarate in quadri della dichiarazione dei redditi diversi dal quadro RW" (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 19 maggio 2021, n. 19849).
In ogni caso, nell'ipotesi sottoposta al giudizio della Corte, trattandosi di delitto perseguibile unicamente qualora l'entità dell'imposta evasa sia superiore alle soglie quantitative previste dalla norma, riferite al singolo periodo di imposta, non sarebbe stata raggiunta la piena prova del superamento di dette soglie di punibilità, per l'impossibilità di riferire l'importo ad uno o più specifici anni di imposta.
In definitiva, l'accertamento del possesso di un'ingente somma di denaro depositata su conti esteri non configura automaticamente il delitto di "dichiarazione infedele" per l'omessa compilazione del quadro RW relativo a detto bene, dato che tale violazione tributaria non dà luogo all'evasione di imposte dirette o IVA, che sono le uniche imposte assistite da sanzione penale ai sensi del D. Lgs n. 74/2000.
Il possesso di somme ingenti all'estero potrebbe essere indizio del fatto che si tratti di redditi sottratti a tassazione ma, in tal caso, sarà onere della pubblica accusa dimostrare che tali somme derivino da un'evasione penalmente rilevante.






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