Il nuovo "riversamento spontaneo" dei crediti d'imposta ai fini tributari e come causa di non punibilità per il delitto di indebita compensazione
Di Martina Urban
L’art. 5, commi 7 e segg., del Decreto Legge 21 ottobre 2021 n. 146, convertito con modificazioni in Legge 17 dicembre 2021, n. 215 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 dicembre 2021, ha introdotto nell’ordinamento un nuovo istituto denominato “riversamento spontaneo” che comporta la restituzione, anche in forma rateale, dell’importo delle somme relative al credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo (di cui all’art. 3 D.L. n. 145/2013 convertito, con modificazioni, in L. 9/2014), utilizzate in compensazione in modo non corretto o illegittimo.
La disciplina del credito di imposta per le attività di ricerca e sviluppo, in estrema sintesi, prevede che venga attribuito un credito di imposta pari ad una percentuale delle spese sostenute dalle imprese per la suddetta attività, in considerazione del fatto che parte dei fattori della produzione (lavoratori e materie prime) impiegati per la ricerca sono stati distolti dalla produzione ordinaria diretta a generare i ricavi d'impresa.
Per incentivare il progresso scientifico e tecnologico all'interno dell'azienda, il Legislatore ha quindi concesso la possibilità di usufruire di un credito di imposta pari ad una parte dei costi diretti all’attività di ricerca e sviluppo (di regola il 25%), da porre in compensazione con i debiti tributari.
Nel caso tuttavia che i suddetti crediti siano inesistenti o non spettanti, la compensazione sarà indebita, con la conseguenza che i relativi importi possono essere recuperati dall'Amministrazione Finanziaria e, se superiori ad euro 50.000 per ciascun periodo d'imposta, possono configurare anche il reato di "indebita compensazione" di cui all'art. 10 quater del D.Lgs 10 marzo 2000, n. 74.
La Cassazione civile recentemente, superando le precedenti posizioni, ha affermato che "il credito fiscale illegittimamente utilizzato dal contribuente può dirsi "inesistente" quando ne manca il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente) e quando tale mancanza sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell'anagrafe tributaria, banca dati pubblica disciplinata dal D.P.R. n. 605 del 1973, su cui detti controlli anche si fondano". Il credito inesistente è "fattispecie necessariamente più ristretta rispetto a quella generale, evidentemente ritenuta più grave.
A ciò si aggiunga che la citata novella del 2015 si innesta nella riscrittura della norma già contenuta nel contestualmente abrogato art. 27, comma 18, D.L. cit. (che regolava il relativo quadro sanzionatorio), e mira quindi a specificare il contenuto del precetto originario, così ancorando la nozione di "credito inesistente" ad una dimensione anche secondo il linguaggio comune - "non reale" o "non vera", ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza (come pure può evincersi dal contenuto della Relazione illustrativa al D.L. n. 185 del 2008)", (cfr. Cass. Civ., 16.11.2021, n. 34445 e, analogamente cfr. Cass. Civ., sent. nn. 34443/2021 e 34444/2021).
La norma in questione distingue tra le due fattispecie, connotate da diversi gradi di gravità: da un lato punisce più severamente la compensazione di crediti inesistenti, dato che derivano da una condotta dolosamente preordinata alla precostituzione di un credito d'imposta in realtà insussistente mentre, dall'altro lato, applica una sanzione minima nel caso in cui il credito esista, ma di fatto non possa essere oggetto di compensazione.
Infatti, l'art.13 del D. Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, così come modificato dal D. Lgs. n.158 del 2015, ha introdotto due nuove e distinte fattispecie sanzionatorie relative alla materia delle compensazioni: per le violazioni di indebita compensazione di crediti non spettanti, di cui al comma 4, si applica la sanzione del 30% del credito utilizzato, mentre, per la più grave ipotesi di compensazione di crediti inesistenti, viene stabilita la sanzione edittale dal 100% al 200% della misura dei crediti utilizzati.
Dall'applicazione della norma istitutiva di tale credito di imposta è sorto un notevole contenzioso tributario, tenuto conto che la posizione dell'Agenzia delle Entrate è stata quella di ritenere che in caso di utilizzo indebito del suddetto credito si configuri una ipotesi di "credito inesistente" (cfr. Circ. AE 23 dicembre 2020, n. 31/E), con la conseguente applicazione di una sanzione tributaria dal 100 al 200% del credito e un termine di decadenza del potere di accertamento più ampio, con la possibilità di notificare l'atto di recupero fino al 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello dell'avvenuta compensazione.
Nel merito, l'Amministrazione Finanziaria può contestare la mancanza del carattere di innovatività dell'attività di ricerca e sviluppo, l'assenza di rischio finanziario o, comunque, l'inadeguatezza delle prove documentali idonee a dimostrare l'effettività della suddetta attività.
Per tale ragione appare di notevole rilevanza l'introduzione dell'istituto del “riversamento spontaneo”, mediante il quale è possibile regolarizzare eventuali violazioni senza applicazione di sanzioni e interessi.
La disciplina di cui all'art. 5 del D.L n. 146/2021, convertito in L. n. 215/2021 distingue a seconda che si tratti di una semplice violazione della normativa tributaria ovvero di condotta fraudolenta, diretta a precostituire un importo da compensare e in assenza di una reale attività di ricerca e sviluppo.
Infatti, la procedura di riversamento spontaneo è riservata ai soggetti che abbiano realmente svolto attività di ricerca e sviluppo, sostenendo le relative spese, qualora tali attività - pur esistenti - non siano qualificabili - in tutto o in parte - come tali e che quindi non siano ammissibili nell'accezione rilevante ai fini del credito d'imposta, ovvero siano state svolte attraverso modalità non conformi.
Inoltre, la procedura di riversamento spontaneo può essere utilizzata anche dai soggetti che abbiano commesso errori nella quantificazione o nell'individuazione delle spese ammissibili in violazione dei principi di pertinenza e congruità, nonché nella determinazione della media storica di riferimento.
Al contrario, l'accesso alla procedura è in ogni caso escluso nei casi in cui il credito d'imposta utilizzato in compensazione sia il risultato di condotte fraudolente, di fattispecie oggettivamente o soggettivamente simulate, di false rappresentazioni della realtà basate sull'utilizzo di documenti falsi o di fatture che documentano operazioni inesistenti, nonché nelle ipotesi in cui manchi la documentazione idonea a dimostrare il sostenimento delle spese ammissibili al credito d'imposta.
In tale ultima ipotesi, qualora il contribuente intraprenda comunque la procedura di riversamento spontaneo, qualora gli Uffici accertino l'esistenza di condotte fraudolente, le somme versate si ritengono acquisite a titolo di acconto e la procedura non può ritenersi perfezionata.
Dal punto di vista concreto, coloro che hanno diritto di avvalersi della procedura di riversamento spontaneo del credito d'imposta possono inviare apposita richiesta all'Agenzia delle entrate entro il 30 settembre 2022, specificando il periodo o i periodi d'imposta di maturazione del credito d'imposta per cui è presentata la richiesta, gli importi del credito oggetto di riversamento spontaneo e tutti gli altri dati ed elementi richiesti in relazione alle attività e alle spese ammissibili. Il contenuto e le modalità di trasmissione del modello di comunicazione per la richiesta di applicazione della procedura verranno definiti con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle Entrate da adottare entro il 31 maggio 2022.
Quanto al pagamento, l'importo del credito utilizzato in compensazione indicato nella comunicazione inviata all'Agenzia delle entrate deve essere riversato entro il 16 dicembre 2022 o, in alternativa, può essere effettuato in tre rate di pari importo (di cui la prima da corrispondere entro il 16 dicembre 2022 e le successive entro il 16 dicembre 2023 e il 16 dicembre 2024). In caso di pagamento rateale sono dovuti, a decorrere dal 17 dicembre 2022, gli interessi calcolati al tasso legale e non vi è la possibilità di avvalersi della compensazione.
La procedura in questione si perfeziona con l'integrale versamento di quanto dovuto e in caso di riversamento rateale, il mancato pagamento di una delle rate entro la scadenza prevista comporta il mancato perfezionamento della procedura, l'iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti, nonché l'applicazione di una sanzione pari al 30 per cento del residuo, oltre agli interessi.
Ovviamente, il riversamento non può essere effettuato per i crediti il cui utilizzo in compensazione sia già stato accertato con un atto di recupero crediti, ovvero con altri provvedimenti impositivi, già definitivi al 21.10.2021, data di entrata in vigore del D.L. n. 146/2021, in ossequio al principio della certezza dei rapporti giuridici.
Prima della formale contestazione da parte dell'Amministrazione Finanziaria, il contribuente può tuttavia scegliere di riversare i crediti utilizzati anche solo in parte, limitatamente agli importi che ritiene indebitamente utilizzati.
Nel caso in cui l'utilizzo del credito d'imposta sia già stato constatato con un atto dell'Ufficio non ancora divenuto definitivo alla data del 21.10.2021, il riversamento invece deve obbligatoriamente riguardare l'intero importo del credito oggetto di recupero, accertamento o constatazione, senza applicazione di sanzioni e interessi ma in un'unica soluzione e non vi è la possibilità di avvalersi della rateazione.
Dal punto di vista penale, oltre a quanto sopra, occorre rilevare che, nel caso in cui il contribuente utilizzi crediti inesistenti o non spettanti, in misura superiore ad euro 50.000 per ciascun periodo d'imposta, potrà essere configurabile il delitto di "indebita compensazione", di cui all'art. 10 quater del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
La fattispecie incriminatrice in questione, analogamente a quanto previsto dalla normativa tributaria, distingue il trattamento sanzionatorio a seconda che si tratti di crediti "inesistenti" (per cui è prevista una pena edittale della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni) oppure di crediti "non spettanti" (in relazione ai quali la pena della reclusione va da sei mesi a due anni), tenuto conto del diverso grado di offensività della condotta.
Per quanto qui interessa, il perfezionamento della procedura di riversamento ha effetti anche dal punto di vista penale: infatti l'art. 5, comma 11, ultima parte, del citato D.L. n. 146/2021 prevede che "in esito al corretto perfezionamento della procedura di riversamento è esclusa la punibilità per il delitto di cui all'articolo 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74".
Di conseguenza, nel caso in cui il contribuente opti per la procedura in questione, nei termini anzidetti, sarà esente da conseguenze sul piano penale, venendo meno la punibilità, ma solo a condizione che la procedura si sia correttamente perfezionata.
A tale riguardo, a parere di chi scrive, il perfezionamento della procedura non deriva solo dall'integrale versamento di tutti gli importi dovuti, ma presuppone che nel caso di specie non sussistano le ipotesi "fraudolente", di cui all'art. 5, comma 8, che escludono la applicabilità del "riversamento spontaneo".
Se la causa di punibilità appare senz'altro inapplicabile nel caso in cui il credito di imposta sia "il risultato di condotte fraudolente, di fattispecie oggettivamente o soggettivamente simulate, di false rappresentazioni della realtà basate sull'utilizzo di documenti falsi o di fatture che documentano operazioni inesistenti", tuttavia appare poco condivisibile la sua esclusione "nelle ipotesi in cui manchi la documentazione idonea a dimostrare il sostenimento delle spese ammissibili al credito d'imposta", poichè si tratta di una carenza probatoria che non può essere automaticamente parificata ad una condotta fraudolenta.
In ogni caso, a prescindere dal perfezionamento della procedura in esame, a norma dell'art. 13, comma 1, del D.Lgs n. 74/2000, il pagamento del debito tributario costituisce causa di non punibilità per il delitto di "indebita compensazione", a condizione tuttavia che il debito con l'Agenzia delle Entrate sia stato estinto integralmente - compresi interessi e sanzioni - prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Sennonchè, il riversamento operoso determina il venir meno della punibilità senza un limite temporale e, quindi, opera anche nelle ipotesi in cui il dibattimento sia già stato dichiarato aperto e, inoltre, quanto al debito tributario da estinguere, consente il versamento unicamente degli importi corrispondenti ai crediti di imposta portati in compensazione, risparmiando interessi e sanzioni tributarie.
Tale previsione comporta quindi un ulteriore incentivo per il contribuente, che - semplicemente riversando gli importi compensati a suo tempo - non solo potrà estinguere il debito tributario senza interessi e sanzioni, ma vedrà venir meno la punibilità per il fatto reato dell'indebita compensazione.