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COMPATIBILITÀ TRA IL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM E CUMULO DI SANZIONI
M. Urban, in Riv. Il Tributo
ilTributo.it - n.40
- 2018
COMPATIBILITA' TRA PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM E CUMULO DI SANZIONI
Commento alla sentenza della Corte di Giustizia UE (Grande Sezione) del 20.3.2018, causa C- 537/2016
di Martina Urban
Con la sentenza in esame, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha affrontato la questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di Cassazione italiana avente ad oggetto la compatibilità con il diritto comunitario del sistema sanzionatorio per le condotte di "manipolazione del mercato", di cui agli artt. 185 e 187 ter del Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF).
Tali disposizioni puniscono la medesima condotta illecita sia dal punto di vista penale (con la reclusione da due a dodici anni e con la multa da euro quarantamila a euro dieci milioni), sia sotto il profilo amministrativo, con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria particolarmente onerosa (da euro centomila ad euro venticinque milioni).
In particolare, la Corte di Cassazione ha chiesto alla Corte di Giustizia se il suddetto duplice sistema sanzionatorio sia compatibile con il “diritto a non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato”, laddove l’ordinamento italiano pretenda di applicare ad un soggetto una sanzione amministrativa pecuniaria particolarmente afflittiva per condotte illecite per cui è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico.
Nel caso di specie, nei confronti della medesima persona era stata pronunciata sentenza di condanna con l'applicazione della pena della reclusione e di quella della multa per il delitto di "manipolazione del mercato" di cui all'art. 185 TUF e per gli stessi fatti, successivamente, la CONSOB, quale Autorità competente, aveva applicato una sanzione pecuniaria di diversi milioni di euro.
Il relativo atto di irrogazione veniva quindi impugnato e, proprio nell'ambito di questo secondo procedimento relativo all’applicazione delle sanzioni amministrative, la Corte di Cassazione, quale giudice di ultima istanza, ha inizialmente sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 187 ter TUF, per contrasto con il principio del ne bis in idem di cui all'art. 4 del VII Protocollo alla CEDU, nell'ipotesi di applicazione della sanzione pecuniaria nei confronti del soggetto già condannato in sede penale per gli stessi fatti.
Tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza 12 maggio 2016, n. 102, ha dichiarato inammissibile la questione, ritenendo che "la tutela del diritto a non essere giudicato due volte per lo stesso fatto non può condurre ad una soluzione che comporti incertezza e casualità delle sanzioni applicabili."
Infatti, un fatto illecito potrebbe essere punito diversamente a seconda di quale dei due procedimenti sanzionatori si concluda per primo e ciò potrebbe determinare "la violazione di altri principi costituzionali, quali i principi di determinatezza e legalità della sanzione penale, prescritti dall'art. 25 cost., di ragionevolezza e parità di trattamento, di cui all'art. 3 cost., e pregiudicare i principi di effettività, proporzionalità e dissuasività delle sanzioni, imposti dal diritto dell'Unione europea, in violazione degli art. 11 e 117 cost."
Di conseguenza, la Corte Costituzionale ha ribadito la legittimità del doppio binario sanzionatorio, quale scelta del Legislatore nazionaledi porre in essere tutti i rimedi che reputa utili, anche alla luce della Direttiva europea n. 2003/6/CE che, in tema di “market abuse”, impone ali Stati membri di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive.
Pertanto, il divieto di "ne bis in idem" non avrebbe carattere sostanziale, ma esclusivamente processuale.
Per tale ragione, tale principio "preclude agli Stati parti di punire il medesimo fatto a più titoli, e con diverse sanzioni, a meno che ciò non avvenga in un unico procedimento o attraverso procedimenti fra loro coordinati, nel rispetto della condizione che non si proceda per uno di essi quando è divenuta definitiva la pronuncia relativa all'altro" (cfr. Corte Cost. sentenza 12 maggio 2016, n. 102).
A seguito di tale pronuncia, la stessa Corte di Cassazione, nell'ambito del medesimo procedimento nel cui ambito aveva sollevato la questione di costituzionalità decisa con la sentenza di cui sopra, ha quindi promosso il giudizio dinanzi alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sollevando questione pregiudiziale in ordine all'interpretazione dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, ritenendo che, nel caso di specie, si potesse ipotizzare una violazione del divieto di giudicare e punire due volte lo stesso soggetto per il medesimo fatto.
Infatti, per il Giudice italiano la sanzione amministrativa pecuniaria irrogata ex art. 187 ter TUF avrebbe natura "penale", ai sensi dell'art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, così come interpretata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
In particolare, la Corte EDU, con la sentenza "Grande Stevens" del 4 marzo 2014, sempre in tema di "market abuse" aveva rilevato che la sanzione amministrativa pecuniaria di cui all'art. 187 ter TUF avrebbe sostanzialmente natura penale, visto il grado di severità dell'impianto punitivo, nonché la finalità chiaramente repressiva.
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nella decisione in commento, procede innanzitutto ad affermare che i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU non fanno formalmente parte del diritto comunitario, per cui la questione deve essere risolta alla luce delle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e, in particolare, dell'art. 50, per cui "nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di sentenza penale definitiva conformemente alla legge".
Innanzitutto, per quanto riguarda la natura penale delle sanzioni, la CGCE precisa che l'applicazione dell'art. 50 della Carta non è limitato ai soli procedimenti qualificati come "penali" nel diritto nazionale, ma si estende anche a procedimenti e sanzioni che devono essere considerati tali dal punto di vista sostanziale, sulla base della natura dell'illecito e del grado di severità della sanzione.
Nel caso di specie, il procedimento amministrativo di cui all'art. 187 ter del TUF è da considerarsi di natura penale, a prescindere dalla definizione normativa del Legislatore interno, dal momento che la sanzione di cui trattasi presenta un grado di gravità elevato e, in ogni caso, persegue una finalità repressiva e non si limita ad un mero “risarcimento” del danno.
Pertanto, una volta stabilito che la sanzione amministrativa pecuniaria ha natura penale, la Corte precisa che, benché gli Stati membri siano obbligati a porre in essere le misure idonee a garantire in modo efficace la tutela ed il corretto funzionamento del mercato mobiliare, tuttavia tali misure devono essere proporzionate, per cui le sanzioni non devono eccedere i limiti di ciò che è necessario per il conseguimento delle finalità della normativa in materia.
Ciò significa che le Autorità nazionali devono assicurarsi che, in caso di cumulo di sanzioni, la severità dell’insieme delle pene inflitte non ecceda la gravità del reato contestato.
Pertanto, nei confronti di un soggetto già condannato con sentenza definitiva per il delitto di “manipolazione del mercato” non può essere applicata anche la sanzione amministrazione pecuniaria, qualora la prima sanzione penale venga ritenuta idonea a reprimere l’illecito in modo efficace, proporzionato e dissuasivo.
Tale valutazione spetta al Giudice nazionale, che ha il compito di giudicare il caso concreto, sulla base del principio espresso dall’art. 50 della Carta di Nizza.
Peraltro, la suddetta norma attribuisce in via diretta un diritto a tutti i soggetti dell’ordinamento comunitario, senza bisogno di ulteriori interventi legislativi da parte degli Stati membri, per cui il principio del “ne bis in idem” è direttamente applicabile nell’ordinamento interno.
Ciò implica che, senza dover ricorrere ad una pronuncia pregiudiziale, come nel caso di specie, ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di non essere punito con una seconda sanzione di natura penale, qualora sia già stato condannato in via definitiva ad una pena idonea a reprimere l’illecito in modo efficace, proporzionato e dissuasivo.
Tale pronuncia appare di non poca rilevanza, dato che apre le porte ad una possibile applicazione di tale principio anche in ambito tributario, ove il Legislatore italiano ha previsto analogo “doppio binario” sanzionatorio per le condotte di evasione fiscale.
Sul punto, è da rilevare che, poco prima della pronuncia della Corte di Giustizia fin qui esaminata, la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 22 settembre 2017, n. 6993 (depositata il 14 febbraio 2018), richiamandosi alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha ribadito la legittimità di un sistema sanzionatorio duplice, che faccia ricorso a procedimento penali e amministrativi per le condotte di evasione fiscale, purché le plurime risposte sanzionatorie non comportino un sacrificio eccessivo per l’interessato ed, in particolare, i due procedimenti siano connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico in maniera sufficientemente stretta.
In particolare ha affermato che “secondo la Corte EDU, la disposizione convenzionale non esclude lo svolgimento parallelo di due procedimenti, purché essi appaiano connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico in maniera sufficientemente stretta, e purché esistano meccanismi in grado di assicurare risposte sanzionatorie nel loro complesso proporzionate e, comunque, prevedibili, verificando gli scopi delle diverse sanzioni e dei profili della condotta considerati, la prevedibilità della duplicità delle sanzioni e dei procedimenti, i correttivi adottati per evitare ‘per quanto possibile’ duplicazioni nella raccolta e nella valutazione della prova e, soprattutto la proporzionalità complessiva della pena”.
Sennonché, la Suprema Corte non chiarisce quali siano i criteri per valutare la proporzionalità della pena né quali siano i “meccanismi” correttivi per garantire la suddetta proporzionalità.
Di conseguenza, il Giudice penale, in linea con la decisione della Corte Costituzionale, si limita a valorizzare il dato della stretta connessione temporale dei due procedimenti – celebrati quasi in contemporanea – i quali, per tale ragione, devono essere considerati quali parti di un unico sistema sanzionatorio adottato da uno Stato per sanzionare la commissione di un fatto illecito.
In definitiva, non sussisterebbe violazione del principio del ne bis in idem se i due procedimenti paralleli (penale e tributario) si svolgono in contemporanea.
Orbene, il semplice dato temporale non appare un criterio soddisfacente, essendo del tutto casuale, per cui sembrerebbe contrastare con i principi tassatività e determinatezza delle fattispecie penali, per cui gli effetti che possono derivare dalla condotta illecita devono essere prevedibili.
Da ultimo, in merito ai rapporti tra procedimento penale e tributario, è intervenuta la Corte Costituzionale che, con la sentenza 2 marzo 2018, n. 43, ha aperto la possibilità di riconsiderare l'applicabilità del principio del ne bis in idem in materia, dal momento che, sulla scorta della giurisprudenza più recente della Core EDU (sent. 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, ric. n. 24130/11), gli Stati membri - nel perseguire finalità di interesse generale - hanno la facoltà di punire una condotta illecita con un duplice sistema sanzionatorio, purchè tali procedimenti risultino coordinati nel tempo e nell'oggetto, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un'unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all'entità della pena complessivamente irrogata.
Appare pertanto auspicabile che il Giudice italiano recepisca in futuro i principi espressi nella sentenza della Corte di Giustizia del 1 marzo 2008, nel senso di valutare, più che il semplice dato della connessione sostanziale e temporale, il fatto che i procedimenti “paralleli” debbano avere scopi diversi e, cioè, debbano avere ad oggetto – in concreto - aspetti differenti della stessa condotta illecita.
In caso contrario, la duplice sanzione complessivamente applicata sarebbe senz’altro sproporzionata, in violazione del divieto di punire due volte lo stesso soggetto per il medesimo fatto.