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L’INDEBITA ESENZIONE IVA NON COSTITUISCE DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA
P. Pasquinuzzi e M. Urban, in Riv. Il Tributo
ilTributo.it - n.17 - 2016



L’indebita esenzione IVA non costituisce dichiarazione fraudolenta - Studio Legale Traversi - studio legale auto riciclaggio Firenze

L’INDEBITA ESENZIONE IVA NON COSTITUISCE DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA
di Paola Pasquinuzzi e Martina Urban

La Cassazione, con la sentenza 15 dicembre 2015, n. 8668, per la prima volta dall'entrata in vigore della riforma dei delitti tributari prende in esame il delitto di  "dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici", di cui all'art. 3 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, così come modificato dal D.Lgs. n. 158/2015.
La pronuncia in commento riguarda l'impugnazione avverso l'ordinanza del Riesame che aveva confermato il sequestro preventivo per equivalente disposto in vista della futura confisca, ritenendo sussistente l'evasione ai fini IVA in relazione a fatture per canoni leasing emesse in regime di non imponibilità ex art. 8 bis del D.P.R. n. 633/1972.
In particolare, trattandosi di bene non inerente, i relativi canoni non avrebbero potuto essere fatturati come prestazioni "esenti" e, di conseguenza, si tratterebbe di “imposta fraudolentemente risparmiata”.
Ciò, anche se l’IVA non era stata  indicata in dichiarazione e, conseguentemente, non  portata in detrazione.
L'ipotesi accusatoria, fatta propria dal Tribunale del Riesame, partiva dall'assunto secondo cui gli indagati avrebbero costituito una Società fittizia, il cui oggetto sociale apparente era l'attività di noleggio a terzi di natanti di proprietà della Società stessa.
In realtà, l’uso dei natanti sarebbe avvenuto ad esclusivo e personale beneficio dei due coniugi, che però – grazie allo schermo societario – avevano conseguito un notevole risparmio d’imposta, avendo indicato in dichiarazione elementi passivi fittizi corrispondenti alle spese di acquisto e manutenzione delle barche.
In particolare, gli indagati avrebbero detratto indebitamente i costi afferenti ai canoni di leasing pur non essendo deducibili poiché relativi a beni ritenuti non inerenti, in quanto l'imbarcazione cui si riferivano detti costi non era bene aziendale, ma in realtà bene personale dei soci.
In base a tali considerazioni, erano stati ritenuti sussistenti i gravi indizi in ordine al delitto di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000 sulla base della considerazione per cui gli imputati avrebbero utilizzato il regime di non imponibilità di cui gli stessi non avrebbero potuto godere.
Quanto all’IVA, la fattura relativa i canoni di leasing era stata emessa in regime di non imponibilità, ex art. 8 bis D.P.R. n. 633/1972 e, come tale, non era mai stata portata in detrazione (atteso il regime applicato) né era “confluita” nella dichiarazione annuale.
Gli indagati avevano quindi impugnato la decisione del Tribunale del Riesame, sostenendo che nel caso di specie non vi fosse stata alcuna indebita detrazione di IVA, dato che tale importo non era stato inserito in alcuna dichiarazione e mai avrebbe potuto esserlo, atteso il regime di non imponibilità applicato.
Per questa ragione i ricorrenti avevano affermato che il delitto ex art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000 non fosse ravvisabile nel caso di specie in quanto tale reato si perfeziona unicamente con l'indicazione in dichiarazione di elementi passivi fittizi e, in ogni caso, per mancanza dell’elemento costitutivo dell’utilizzo del mezzo fraudolento.
La Suprema Corte, nella motivazione della sentenza in commento, procede con un’accurata e approfondita analisi del reato di cui all’art. 3 per valutare, in particolare, la continuità normativa tra le previgente formulazione e quella attuale, a seguito delle modifiche introdotte con D.Lgs. n. 158/2015.
Prima la struttura del reato in questione era “trifasica” a formazione progressiva, dato che il delitto si perfezionava con la  a) falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie; b) utilizzo di “mezzi fraudolenti” idonei a ostacolare l’accertamento della falsità e, infine, c) indicazione nelle dichiarazioni dei redditi o ai fini IVA di elementi attivi inferiori a quelli effettivi o elementi passivi fittizi.
A seguito della modifica operata dal D.Lgs. n. 158/2015 la nuova formulazione del delitto in questione prevede invece una struttura bifasica.
L’elemento di novità riguarda le modalità della condotta che può essere realizzata, alternativamente, o compiendo azioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento o ad indurre in errore l’Autorità Finanziaria.
Come specificato nella Relazione Illustrativa del D.Lgs. n. 158/2015 si tratta quindi di condotte alternative tra loro e, di conseguenza, basterà porre in essere solo una delle modalità descritte sopra per realizzare il delitto in questione.
Particolare significato assume l’eliminazione del riferimento alla “falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie”, che prima era elemento prodromico ma essenziale del reato, costituendo la prima fase della realizzazione della condotta.
Tale elisione ha comportato innanzitutto l’ampliamento del novero dei possibili soggetti attivi, comprendendo tutti coloro i quali sono obbligati alla presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette e IVA e non solo, come nella disciplina previgente,  i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili.
Oltre a quanto sopra, la norma continua a prevedere delle soglie di punibilità, benché tali soglie siano state elevate dal legislatore del D.Lgs. n. 158/2015.
Dopo aver analizzato la fattispecie incriminatrice, la Cassazione afferma che sussiste continuità normativa tra la "vecchia" e la "nuova" formulazione legislativa, dato che anche attualmente il reato si perfeziona con la stessa tipologia di condotta e, cioè, con l’indicazione di elementi attivi inferiori a quelli effettivi o elementi passivi fittizi in una delle dichiarazioni relative a imposte dirette e IVA.
Per quanto qui interessa, la Cassazione ha ribadito che il delitto in questione si perfeziona con la presentazione della dichiarazione e con l'effettivo inserimento degli elementi passivi fittizi.
Di conseguenza, le condotte pregresse, anche se consistenti nell'acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti fittizi ovvero di false rappresentazioni anche con uso di mezzi fraudolenti, sono irrilevanti dal punto vista penale.
Pertanto, confermando l'orientamento sorto in precedenza, è da ritenere che tutti i comportamenti tenuti dall'agente prima della presentazione di tale dichiarazione non costituiscono delitto di dichiarazione fraudolenta.
Inoltre, la Suprema Corte ha ritenuto insussistente il delitto di cui all'art. 3 in assenza di una congrua motivazione in ordine all'uso di mezzo fraudolento idoneo ad ostacolare l'accertamento.
Infatti, per realizzare il delitto in questione non basta la semplice violazione tributaria, ma occorre un quid pluris e, cioè, un'alterazione della realtà accompagnata da speciali accorgimenti idonei a occultare l'evasione di fronte alle attività di controllo del Fisco.
Pertanto, sussiste la frode qualora il contribuente ponga in essere una condotta ingannatoria, che impedisca ai verificatori di ricostruire con facilità la capacità contributiva reale, senza ricorrere a sofisticati strumenti di accertamento.
Dalla decisione in esame possiamo quindi ricavare il principio per cui l'essersi avvalsi di un regime di esenzione IVA pur non spettante dal punto di vista tributario non configura di per sé un "mezzo fraudolento" idoneo a ostacolare l'accertamento fiscale e, quindi, non può configurare il delitto di cui all'art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000, essendo appunto insussistente l'elemento della "frode".







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